La questione è stata recentemente vagliata positivamente dal Tribunale del Riesame di Torino che si è pronunciato favorevolmente sulla possibilità di applicare gli arresti domiciliari in altro paese dell’Unione Europea (ove l’indagato abbia la residenza).
Il principio di diritto espresso è che il giudice nazionale non può negare una misura alternativa alla detenzione carceraria – ivi compresa quella degli arresti domiciliari – sul mero presupposto dell’assenza di un indirizzo di esecuzione sul territorio nazionale, perché la disponibilità di un domicilio presso altro Stato dell’Unione, in cui l’interessato sia radicato, equivale alla disponibilità di un domicilio in Italia.
Il Tribunale di Torino prende le mosse evidenziando come la questione sia “complessa e discussa”, trattandosi di “interpretare l’ambito di applicazione della Decisione Quadro 2009/829/GAI sull’applicazione tra gli Stati dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle “misure alternative alla detenzione cautelare” e del d.lgs. 36/2016, recante disposizioni per conformare il diritto interno a tale decisione, valutando se fra le “misure alternative” possa rientrare anche quella degli arresti domiciliari”.
In proposito gli indirizzi giurisprudenziali vedono la cassazione sezione 1 con la sentenza numero 8864/2022 aver sottolineato che la possibilità di disporre gli arresti domiciliari in altro Stato membro della UE, alla stregua della Decisione Quadro 2009/829/GAI del Consiglio del 23 ottobre 2009, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle “misure alternative alla detenzione cautelare” è una strada percorribile.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte tale possibilità è stata negata in quanto, nel nostro ordinamento, gli arresti domiciliari sono equiparati alla custodia cautelare, ai sensi dell’art. 284, comma 5, cod. proc. pen., sicché sono stati ritenuti estranei alle misure alternative alla detenzione cautelare.
L’interpretazione in tali termini è stata suffragata da una pronuncia della Cassazione Sez. 3, n. 26010 del 29/04/2021, Rv. 281937 – la quale ha individuato nell’elencazione contenuta nell’art. 4 del D. Lgs. n. 36 del 2016 (disposizioni per conformare il diritto interno alla citata Decisione Quadro) soltanto misure di carattere non detentivo, e in particolare nella misura descritta alla lett. c): “obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite“, la corrispondenza all’obbligo di dimora, previsto dall’art. 283 cod. proc. pen., senza possibilità di includervi gli arresti domiciliari.
Una successiva sentenza – Sez. 4, n. 37739 del 15/09/2021, Rv. 281950 – ha invece affermato che “La misura cautelare degli arresti domiciliari può trovare esecuzione nello Stato membro dell’Unione europea di residenza dell’interessato perché rientra nell’ambito di applicazione della decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle “misure alternative alla detenzione cautelare” e del d.lgs. 15 febbraio 2016, n.36, recante disposizioni per conformare il diritto interno a tale decisione, trattandosi di misura che, imponendo l’obbligo di rimanere in un luogo determinato, rientra nelle ipotesi di cui all’art. 4, lett. c) del predetto decreto legislativo”.
Nel caso di specie la cassazione ha ritenuto preferibile l’interpretazione resa da quest’ultima pronuncia, coerentemente supportata sotto il profilo sistematico, oltre che fedele alla legge di conformazione del diritto interno alla Direttiva europea, laddove osserva che l’obbligo descritto dall’art. 4, lett. c), delinea una situazione sovrapponibile a quella prevista dall’art. 284 cod. proc. pen., con cui si impone il divieto di allontanamento dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ma si regola anche (al comma 3) la possibilità di conformare gli obblighi alle indispensabili esigenze di vita, autorizzando l’allontanamento in particolari orari e con particolari modalità.
Anche sotto il profilo della salvaguardia dei principi fondanti dello spazio comune europeo in materia di giustizia, la soluzione indicata risulta la più adeguata.
Invero, come già osservato nella sentenza della Sez. 4, n. 37739 del 15/09/2021, interpretando l’espressione “detenzione cautelare” alla luce degli obiettivi perseguiti dalla Decisione Quadro 2009/829/GAI, essa deve intendersi ivi usata con linguaggio volutamente generico, in quanto adattabile alle legislazioni interne di ciascuno Stato membro, non essendo competenza dell’Unione distinguere fra custodia carceraria e altro tipo di misura limitativa della libertà personale che ne importi la compressione fisica.
Piuttosto, rileva l’obiettivo cardine della Decisione Quadro, chiarito al Considerando 5) del Preambolo, che è quello di «adottare misure idonee affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta al procedimento penale ivi residente».
E una forma di discriminazione, basata proprio sullo Stato di residenza, si verificherebbe qualora – ritenendosi misura adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari del caso la cautela domiciliare – essa non fosse applicata al cittadino di uno Stato membro per la sola ragione che costui non dispone di un domicilio in Italia, mentre ne ha uno valido in altro Stato membro dell’Unione europea.
Deve peraltro rilevarsi che la cautela domestica – in termini sostanziali – costituisce, nell’ordinamento interno, una misura alternativa alla detenzione in carcere, tant’è vero che l’art. 284 cod. proc. pen. si esprime letteralmente nel senso che “l’imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare“: ciò giustifica l’identità di effetti di tale vincolo quanto ai termini di durata della misura cautelare previsti dall’art. 303 cod. proc. pen., e quanto al computo del presofferto ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., ma si tratta di una mera assimilazione negli effetti giuridici alla custodia inframuraria, rispetto alla quale gli arresti domiciliari costituiscono comunque una alternativa.
Ne consegue che va disattesa la sollecitazione a disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea onde chiarire il significato e l’estensione della disposizione di cui all’art. 8.1.c) della Decisione Quadro 2009/829/GAI, mancando le condizioni di tale rinvio per non essere pregiudicata la corretta e uniforme interpretazione del diritto dell’Unione in presenza di un significato sufficientemente chiaro della disposizione alla luce dello scopo espresso, A7-5 in una Decisione Quadro e del rapporto di tale genere di atto con la legislazione degli Stati membri. Del resto, il Trattato prevede espressamente che le decisioni-quadro non hanno efficacia diretta nell’ordinamento interno, proprio perché funzionali a consentire a ciascuno Stato membro di modulare la propria legge attuativa sulle peculiarità del proprio ordinamento interno, per cui la Corte di Giustizia non potrebbe che limitarsi a statuire che il giudice nazionale deve interpretare la norma interna in conformità al diritto dell’Unione, senza poter procedere direttamente ad una interpretazione vincolante).
Come si è detto, dalla lettura dell’ordinanza qui impugnata risulta che il GIP aveva rigettato l’istanza del P. di sostituzione della misura cautelare in atto ritenendo “inadeguata ai fini special preventivi una cautela domiciliare in altro Stato“.
Il Tribunale, investito dell’appello cautelare dell’indagato, a sua volta, ha ritenuto preliminare e assorbente, al fine del rigetto dell’impugnazione, la preclusione discendente dalla ritenuta impossibilità di sostituire la custodia in carcere con quella domiciliare in luogo situato in altro Stato dell’Unione per effetto della non inclusione – alla stregua dell’interpretazione dell’art. 4 D.Lgs. n. 36 del 2016 qui censurata – degli arresti domiciliari nella nozione di “misure alternative alla detenzione cautelare” recepita dalla norma di attuazione della decisione quadro 2009/829/GAI, esimendosi così dal valutare nel merito la concreta idoneità della misura gradata a tutelare le esigenze cautelari nel caso di specie.
Il Tribunale, in sede di rinvio, dovrà pertanto valutare, preliminarmente, il punto devoluto riguardante l’adeguatezza della custodia domiciliare, nel luogo indicato dal ricorrente, a soddisfare le permanenti esigenze di cautela, tenendo conto anche della presunzione relativa di adeguatezza della custodia in carcere discendente, ex art. 12 comma 4-bisD.Lgs. n. 286 del 1998, dal titolo del reato ascritto al P. (art. 12 comma 3 D.Lgs. n. 286 del 1998), e, qualora tale giudizio abbia esito positivo, dovrà attenersi al principio di diritto sopra enucleato, in forza del quale il giudice nazionale non può negare una misura alternativa alla detenzione carceraria – ivi compresa quella degli arresti domiciliari – sul mero presupposto dell’assenza di un indirizzo di esecuzione sul territorio nazionale, perché la disponibilità di un domicilio presso altro Stato dell’Unione, in cui l’interessato sia radicato, equivale alla disponibilità di un domicilio in Italia.
fonte: https://terzultimafermata.blog/2024/05/14/arresti-domiciliari-e-loro-possibile-esecuzione-in-altro-paese-dellunione-europea-di-riccardo-radi/