In caso di invio della notificazione con modalità telematiche ai sensi dell’art. 3-bis L. 53/1994 da una casella PEC ad una casella di posta elettronica ordinaria del destinatario, la notifica, in presenza di ricevuta di accettazione, è nulla e non inesistente, non potendosi presumere – salvo prova contraria – la totale assenza di un inoltro telematico di dati preso il destinatario, di cui restano solo incerti gli esiti e dovendosi quindi ritenere sussistente una fase di consegna, seppure non vi sia prova del perfezionamento della notificazione e dunque l’atto non sia in sé idoneo a raggiungere gli effetti suoi propri. Pertanto, in presenza di nullità, la rinnovazione della notifica autorizzata dalla Corte di merito sana ogni vizio nell’introduzione del gravame, ai sensi dell’art. 291 c.p.c.
A.A., dirigente biologa della Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (di seguito, ASP), ha agito davanti al Tribunale di Locri al fine di ottenere il riconoscimento delle differenze retributive per essere stata preposta, dapprima, alla Struttura Semplice di microbiologia clinica (giugno 2000 – giugno 2001) e, poi, alla Struttura Complessa di Osservatorio Epidemiologico.
La sentenza di primo grado, che aveva accolto integralmente la domanda, è stata riformata dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, la quale ha riconosciuto soltanto gli emolumenti (retribuzione di posizione fissa e variabile) per lo svolgimento di fatto delle funzioni di preposta alla Struttura Complessa, con esclusione peraltro dell’indennità di esclusività e di quella di Struttura Complessa.
Avverso tale pronuncia la A.A. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, resistiti da controricorso della ASP;
- La causa è stata dapprima trattata presso la sezione sesta, che l’ha rimessa alla sezione ordinaria per il rilievo nomofilattico.
E’ in atti memoria difensiva della ricorrente.
Motivi della decisione
CHE: - Il primo motivo di ricorso afferma la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 111 Cost., nonchè all’art. 435 c.p.c. ed alla L. n. 53 del 1994 , art. 1 , per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto di superare l’eccezione di improcedibilità del gravame, pur a seguito di specifica contestazione relativa alla inesistenza della prima notifica del ricorso in appello, tentata per posta mail ordinaria e priva dell’avviso di consegna al destinatario, non generata nè generabile da un tale sistema.
Il secondo motivo afferma ancora la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 6 C.E.D.U. , degli artt. 435 , 325 , 291 e 153 c.p.c., della L. n. 53 del 1994 , art. 1 , in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, sotto il duplice profilo della decadenza dell’appello per omessa riattivazione immediata della notificazione del ricorso di appello, nonchè per l’inefficacia della notificazione autorizzata illegittimamente dalla Corte territoriale. - I due motivi, riguardando tematiche contigue, vanno esaminati congiuntamente.
In fatto è accaduto che la A.A. avesse eccepito l’improcedibilità dell’appello per esserle stato lo stesso notificato presso la e-mail di posta ordinaria e non nelle forme della posta elettronica certificata. Dalla narrativa del ricorso per cassazione, in sè coerente con quanto emerge dal provvedimento impugnato e dai restanti atti, risulta che alla prima udienza fissata per la discussione della causa in appello, la ASP, essendo la A.A. rimasta contumace, chiese rinvio per depositare gli atti relativi alla notificazione.
Ancor prima della successiva udienza, ASP chiese tuttavia l’autorizzazione alla rinnovazione della notificazione, dando atto di avere erroneamente proceduto alla prima notificazione presso la casella di posta ordinaria.
Alla successiva udienza la Corte territoriale ha proceduto dapprima ad acquisire il fascicolo di primo grado, rinviando ad altra ed ulteriore udienza.
In tale udienza la Corte d’Appello ha disposto la rinnovazione della notificazione, eseguita la quale la A.A. si è costituita, facendo precedere le difese nel merito alla menzionata eccezione di improcedibilità del gravame.
Quest’ultima eccezione è stata però rigettata dalla Corte territoriale, sul presupposto che la notifica fosse stata in quel modo tentata presso l’indirizzo mail dichiarato dal difensore della controparte, che vi era stata “accettazione” da parte del sistema telematico, per quanto poi mancasse la ricevuta di avvenuta consegna e che quindi si trattasse di notifica nulla e non inesistente. - Questa S.C. ha già ritenuto che la notificazione eseguita presso la casella e-mail ordinaria sia da ritenere nulla e non inesistente (Euro 17 ottobre 2019, n. 26430) ed il principio va confermato.
E’ vero, come osserva la ricorrente, che, in quell’occasione, risultò certa anche l’avvenuta conoscenza della notificazione da parte del destinatario ed in effetti la conseguenza fu che si ritenne ogni nullità sanata dall’avvenuto raggiungimento dello scopo.
Tuttavia, l’assunto di base per cui la notificazione presso la casella di posta ordinaria non possa dirsi a priori inesistente, ma soltanto nulla, va ribadito e prescinde dal fatto che poi si sia avuta sanatoria secondo quelle modalità.
3.1 Deve muoversi in proposito dai principi di fondo stabiliti da C., SU, 14916/2016 , secondo cui “l’inesistenza della notificazione… è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”. 3.2 Fuori discussione il primo requisito, sussistente stante il fatto che il difensore è per legge abilitato alla notificazione telematica, il tema riguarda il secondo dei presupposti sopra evidenziati dal principio di diritto.
Tale principio – muovendosi nella logica che va da un esito in qualche modo positivo (avvenuta consegna purchessia, seppure non rituale) ad un esito certamente negativo (restituzione al mittente) – lascia in qualche modo in ombra i casi in cui non si possa affermare con certezza il ricorrere nè dell’una, nè dell’altra ipotesi, come avviene in questa sede, in cui non si può dire nè che consegna vi sia stata, perchè occorrerebbe la prova concreta di ciò, nè che non vi sia stata, perchè anche ciò resta ignoto.
3.3 Deve allora muoversi più a fondo dai ragionamenti che portarono a definire quei principi.
Le S.U. hanno preso le mosse dalla considerazione – le citazioni sono tratte dalla motivazione di quella sentenza – che “l’inesistenza non è… in senso stretto, un vizio dell’atto più grave della nullità, poichè la dicotomia nullità/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l’atto e il non atto” e l’inesistenza ricorre quando si possa dire che non esiste un “”atto”, riconoscibile come “notificazione””, occorrendo risalire agli elementi “sufficienti a integrare la fattispecie legale minima della notificazione, rendendo qualificabile l’attività svolta come atto appartenente al tipo previsto dalla legge”.
In quella sede le S.U. hanno escluso, proprio perchè una fase di consegna comunque vi era stata, che fosse richiesto, per la riconducibilità al tipo della notificazione il requisito del “”collegamento” (o del “riferimento”) tra il luogo della notificazione e il destinatario”, sicchè il difetto, pur tale da determinare effetti sulla capacità comunicativa del procedimento al reale destinatario (la consegna era avvenuta a difensore diverso da quello legittimato e ricevere l’atto) riguardava un “elemento che si colloca fuori del perimetro strutturale della notificazione e la cui assenza…. ricade…. nell’ambito della nullità”.
Deve muoversi dunque attraverso la ricerca – in ambito di notifica telematica – di quel tratto differenziale che possa consentire di individuare ciò che stia o meno all’interno del tipo giuridico della “notificazione”, sotto il profilo dell’esistenza di una fase di consegna.
3.4 In tema di notificazione telematica, l’invio presso una casella di posta ordinaria è certamente tale da incidere sulla capacità comunicativa dell’atto, oltre che sulla possibilità stessa di documentare l’avvenuta ricezione, ma ciò non significa che sia mancata una fase di consegna, di cui sono incerti gli esiti comunicativi ultimi (come lo sono, sotto il profilo degli effetti propri della notificazione, se l’atto sia consegnato a persona non legittimata a riceverlo), ma che non può essere assimilato al caso della mera restituzione al mittente.
Si deve considerare, come ha fatto la Corte territoriale, che la L. n. 53 del 1994 , art. 3-bis individua il momento di perfezionamento della notifica per il mittente in quello della generazione della ricevuta di accettazione ai sensi del D.P.R. n. 68 del 2005 , art. 6 , comma 1, e nel caso di specie la sentenza fa leva proprio sul ricorrere di tale presupposto.
E’ vero che l’accettazione, secondo il citato art. 6, prova soltanto l’avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata, ma la ricezione del dato telematico da parte del gestore di posta elettronica del mittente, comporta di regola l’avvio altresì del flusso telematico verso il destinatario (art. 5 del medesimo D.P.R.).
La mancanza di quest’ultimo, per il solo fatto che la casella del destinatario cui la comunicazione elettronica venga inviata sia una casella di posta ordinaria, non può del resto essere presunta, anche perchè la notificazione è stata tentata presso una casella che non era per nulla estranea al destinatario stesso, in quanto viceversa quell’indirizzo era stato dal medesimo indicato nei propri atti difensivi.
Non si può allora parlare di notificazione “inesistente”, perchè, a fronte dell’intervenuta accettazione dell’atto da parte del gestore di posta elettronica, non si può presumere il mancato verificarsi del successivo transito telematico di dati verso il destinatario.
Gli esiti di tale transito non sono noti, quanto a contenuto, leggibilità o concreta lettura da parte del destinatario, ma, non avendosi contezza di una totale assenza di quel transito di dati telematici, non si può neppure predicarne una totale assenza.
3.5 L’iter non consente di giungere al perfezionamento della notifica con la generazione della ricevuta di avvenuta consegna, la quale soltanto permetterebbe di avere prova del fatto che l’atto è pervenuto nella sua completezza e leggibilità e con quale datazione e dunque di aver per perfezionata la notifica, ma non si può parlare di notificazione inesistente.
In altre parole, con l’invio a casella e-mail ordinaria vengono a mancare tutti quei sistemi di corredo della certezza della comunicazione che consentono, pur se la mail non sia in concreto letta, di averne per verificati gli effetti legali per il solo fatto che essa sia pervenuta presso l’indirizzo di posta certificata del destinatario.
Quando, con l’invio alla Pec, tali effetti legali si determinano, il destinatario di una comunicazione di posta elettronica non potrà mai addurre di non avere letto la e-mail, perchè ciò non lo sottrarrà agli effetti che la comunicazione così eseguita sia destinata a produrre, mentre la notifica su casella di posta ordinaria non produrrà alcun valido effetto, a meno che in concreto si provi la conoscenza della comunicazione e quindi il raggiungimento dello scopo.
Nè vi è da discorrere rispetto ad una ricevuta di avvenuta consegna, propria solo della regolare notifica a mezzo Pec e non sostituibile, con validi effetti legali, da eventuali forme meno rigorose di analoga documentazione della posta mail ordinaria.
3.6 Del resto, il vizio notificatorio valorizzato dalle S.U. intercettava un difetto comunicativo che non consentiva di avere per conosciuto l’atto da parte del destinatario, perchè in mancanza di diversa prova nulla potrebbe far ritenere che la consegna a difensore diverso da quello che avrebbe dovuto ricevere l’atto abbia determinato la piena conoscenza in capo a quest’ultimo.
Non diversamente, l’invio di notifica ad una casella di posta ordinaria del destinatario non permetterà mai, se non vi sia prova concreta della piena ricezione, di ritenere raggiunto lo scopo comunicativo, ma non può neanche portare ad individuare – a meno di elementi certi in tal senso – la totale assenza di una fase di consegna che porti a collocare l’accaduto al di fuori del perimetro di un atto riconoscibile come appartenente al tipo della “notificazione”.
3.7 Deve quindi affermarsi che, in caso di invio della notificazione con modalità telematiche ai sensi della L. n. 53 del 1994 , art. 3-bis da una casella PEC ad una casella di posta elettronica ordinaria del destinatario, la notifica, in presenza di ricevuta di accettazione, sia nulla e non inesistente, non potendosi presumere – salvo prova contraria – la totale assenza di un inoltro telematico di dati preso il destinatario, di cui restano solo incerti gli esiti e dovendosi quindi ritenere sussistente una fase di consegna, seppure non vi sia prova del perfezionamento della notificazione e dunque l’atto non sia in sè idoneo a raggiungere gli effetti suoi propri.
3.8 In proposito – e in punto di fatto – non è vero che la ASP, nel controricorso, riconosca che la propria mail non fosse pervenuta al destinatario.
In quella sede ASP ha affermato infatti, nei passaggi su cui intenderebbe far leva la memoria della A.A., che all’invio della mail “seguiva la accettazione… ma non già la avvenuta consegna” e che ciò di cui non vi era prova era solo la “avvenuta consegna al destinatario”, il che sta solo a significare – come è pacifico – la mancanza di prova di tale avvenuta consegna quale elemento di perfezionamento pieno della fattispecie notificatoria, ma non sta certo a significare o a provare che la e-mail non fosse stata trasmessa in qualche modo alla casella di posta ordinaria del destinatario.
Così come non prova alcunchè il solo fatto che sia mancata la generazione della ricevuta di consegna, perchè ciò attesta soltanto l’impossibilità del sistema Pec di certificare un’avvenuta consegna, ma non che non vi fosse stato un “flusso” telematico verso la casella di posta ordinaria del destinatario.
E’ dunque insufficiente il richiamo della ricorrente al fatto che la ASP avrebbe ricevuto “un avviso di errore, prudentemente non depositato in atti, che la consegna era fallita posto che non era stata generata la ricevuta di consegna”, perchè un avviso di esito non compiuto della notifica per mancanza di ricevuta di consegna in sè significa solo che appunto la comunicazione via Pec non si è perfezionata per mancanza di quell’elemento, ma non necessariamente attesta, come detto, che non vi fosse stato un “flusso” telematico presso la casella e-mail del destinatario, cosa in sè diversa.
Ne resta insuperata l’affermazione della Corte territoriale secondo cui, escluso un rilievo in sè a tal fine della mancanza di ricevuta di consegna, manca “la comunicazione ad ASP dell’esito negativo della notifica”, nel senso di una prova che proprio nulla fosse stato trasmesso al destinatario.
Solo tale prova escluderebbe infatti – per i principi desumibili dalle S.U. e per quanto sopra detto – la riconducibilità dell’atto al tipo “notificazione”, ma il ricorrere di tale fattispecie ultima non può essere qui affermato.
3.9 In presenza di nullità, la rinnovazione della notifica autorizzata dalla Corte di merito sana ogni vizio nell’introduzione del gravame, ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (v. per il principio Cass. 8 marzo 2017, n. 5853 , nonchè Cass. 17 aprile 2018, n. 9404 ; Cass. 28 agosto 2013, n. 19818 ), in quanto solo nel caso di inesistenza il notificante è tenuto ad attivarsi nei termini di cui a Cass., S.U., 15 luglio 2016, n. 14594 . - Il terzo motivo adduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., nonchè dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, con nullità della sentenza per inammissibilità dell’appello, in quanto generico e conseguente passaggio in giudicato delle statuizioni non specificamente criticate. Si devono intanto richiamare gli approdi cui è pervenuta questa S.C. nell’interpretare gli artt. 343 e 434 c.p.c., quali modificati nel 2012, essendosi in proposito precisato che “l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (C., S.U., 16 novembre 2017, n. 27199 ).
Ciò posto, la Corte d’Appello ha dapprima ritenuto ininfluenti alcune parti dell’atto di gravame, perchè “di contenuto didascalico” e prive “di specifica censura” rispetto al ragionamento del Tribunale, oltre che afferenti a questioni pacifiche e tale parte della motivazione di secondo grado è chiaramente qui priva di rilievo.
La Corte territoriale di seguito ha ricostruito le censure successivamente sviluppate dalla ASP individuandole, tra le altre:
- nel fatto che la A.A. non avesse ricevuto un incarico di Struttura Semplice e “si intuisce nel prosieguo” a maggior ragione di Struttura Complessa, secondo le modalità previste dal D.Lgs. n. 502 del 1992 , art. 15-septies ed anche perchè l’atto aziendale non prevedeva nè strutture semplici nè complesse quali quelle indicate dalla lavoratrice;
- nel fatto che i “moduli” non avevano comunque le caratteristiche previste dall’art. 27 del CCNL 8 giugno 2000, non trattandosi di articolazioni interne cui fosse attribuita la responsabilità di gestione di risorse umane, tecniche e finanziarie;
- nel fatto che al dirigente potevano riconoscersi emolumenti solo per il periodo di effettiva prestazione.
D’altra parte, lo stesso motivo di ricorso assume che la ASP avrebbe sostenuto in appello “che dalla documentazione offerta non risulterebbe che la A.A. abbia ricevuto un incarico di struttura semplice secondo le modalità previste dal D.Lgs. n. 502 del 1992 , art. 15-septies ” (ricorso per cassazione, punto 3.3.2) e che “solo l’atto aziendale può prevedere e fissare le unità semplici e complesse della azienda sanitaria” (punto 3.3.4) ed ancora che “sulla base della determina 463/2010 risulterebbe sconfessata la direzione di struttura complessa ed il connesso diritto alla retribuzione, non essendo in detto atto alcun riferimento di essa, nè comunque esisterebbe la prova della riferibilità ad essa” (punto 3.3.8).
Gli elementi di cui sopra, quali esposti dalla Corte di merito e nel ricorso per cassazione – in modo in parte qua tra loro sostanzialmente coerente – erano del tutto idonei a riaprire in appello il tema della natura delle strutture, con richiamo ad elementi normativi (art. 15-septies; rilievo dell’atto aziendale) e probatori (effettiva sussistenza di una preposizione a Struttura Complessa, anche sulla base di atti sopravvenuti) e quindi a realizzare l’effetto devolutivo al secondo grado delle questioni in ordine alla natura delle strutture di adibizione ed alla prova della preposizione ad esse.
Profili che sono poi quelli su cui si è sviluppata l’argomentazione in fatto e diritto della sentenza di secondo grado, sicchè il motivo è da ritenere infondato.
- Il quarto motivo afferma la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 502 del 1992 , art. 3 , commi 1-bis e 15-ter introdotti con D.Lgs. n. 229 del 1999 , al D.P.R. n. 384 del 1990 , artt. 47 e 116 con riferimento all’incarico di dirigente di Struttura Complessa.
La Corte territoriale ha ritenuto che la preposizione della A.A. alla Struttura Complessa fosse avvenuta senza alcuna selezione, in violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992 , art. 15-ter , e fosse dunque nulla, sicchè potevano solo riconoscersi, ai sensi dell’art. 2126 c.c., le retribuzioni riconnesse allo svolgimento di fatto della corrispondente attività.
Il motivo di ricorso afferma che la selezione prevista dalla normativa non integrerebbe un “concorso in senso tecnico”, essendo essa destinata a sfociare in una scelta fiduciaria e che la validità dell’atto di conferimento dovrebbe essere valutata solo secondo il diritto privato, sicchè l’eventuale inosservanza dei principi di correttezza e buona fede poteva giustificare una pretesa risarcitoria e non l’accertamento della nullità della nomina.
5.1 il motivo è infondato.
Qui non viene in gioco la violazione di criteri di buona fede oggettiva o correttezza nello svolgimento della procedura di scelta del preposto alla Struttura Complessa, criteri in ipotesi destinati ad integrare le norme destinate alla regolazione di tale scelta, ma la diretta violazione della legge per mancato espletamento della procedura selettiva imposta dalle norme stesse.
La violazione di legge è dunque radicale e non consente di ritenere che da essa non scaturisca la nullità dell’incarico ciononostante attribuito.
Il solo rimedio risarcitorio, che concerne eventuali violazioni dei criteri di buona fede e correttezza (C., S.U., 15764/2011 ; Euro 6594/2018) non vale rispetto a violazioni di legge, che qui non riguardano poi le modalità di conduzione della selezione (v. Euro 6594 cit., in un caso in cui era stato ammesso alla selezione un concorrente che non avrebbe potuto partecipare), ma addirittura il fatto stesso dello svolgimento di una selezione secondo una procedura pur sommariamente delineata dalla norma.
E’ pertanto fuori di dubbio che la radicale divergenza rispetto all’impostazione legale del criterio di scelta, da attuare mediante selezione e non de plano, sia ragione di nullità (virtuale) per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c.;
D’altra parte, va aggiunto, una volta devoluto in appello il tema della natura delle unità rispetto alla cui direzione venivano rivendicate differenze retributive, non vi è alcun dubbio che la Corte di merito potesse apprezzare i profili di nullità della nomina, trattandosi palesemente di questioni rilevabili d’ufficio ai sensi dell’art. 1418 c.c.; - Ragioni di concomitanza logica giustificano l’immediata e consequenziale disamina del sesto motivo di ricorso, rubricato come “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 27, comma 11 e art. 43 CCNL 8 giugno 2000” per avere la Corte territoriale negato l’indennità di esclusività per mancanza del presupposto legittimante, nonchè “in relazione all’art. 41″ del medesimo CCNL per essersi negata l’indennità di struttura complessa per mancanza di un valido contratto”;
6.1 Il primo profilo (indennità di esclusività) è argomentato sul presupposto che la norma collettiva consentirebbe l’attribuzione degli incarichi di Struttura Semplice e Complessa solo a dirigenti con rapporto di lavoro esclusivo.
Il ragionamento impugnatorio è insufficiente, in quanto la Corte territoriale ha rilevato come la ricorrente non avesse provato il “titolo legittimante, che ha natura manifestamente diversa e indipendente dall’incarico”, nel senso che era mancata la dimostrazione dell’esercizio in via esclusiva delle mansioni di preposto ad una Struttura Complessa, in sè non insito nel conferimento, per giunta radicalmente invalido, dell’incarico e su tale profilo fattuale, il motivo nulla adduce.
E’ indubbio che, sul piano normativo, fino alla modifica del D.Lgs. n. 502 del 1992 , art. 15-quater , comma 4, ad opera del D.L. n. 81 del 2004 conv. con mod. in L. n. 138 del 2004 , il rapporto dei dirigenti di struttura fosse necessariamente di tipo “esclusivo” e che solo da allora l’assetto giuridico sul punto è mutato.
Tuttavia, il ragionamento fattuale della Corte territoriale, nel senso che manca prova dell’esercizio esclusivo, resta e non vi è dubbio che non può riconoscersi ai sensi dell’art. 2126 c.c. un’indennità di esclusività se manca, come afferma la sentenza di appello, l’esercizio in via esclusiva dell’attività interna all’ente.
6.2 Il secondo profilo (indennità di Struttura Complessa) è invece fondato.
Premesso che è accertata l’intervenuta assegnazione della ricorrente a capo di Struttura Complessa, per quanto invalida, per effetto dell’art. 2126 c.c. sono inevitabilmente dovute le remunerazioni proprie dell’incarico quale concretamente svolto.
Nè ha rilievo il fatto, evidenziato dalla sentenza impugnata, che siano da riconoscere e siano stati riconosciuti i compensi di posizione, perchè l’art. 40 del CCNL 8.6.2000 (normativo 1998-2001/economico 1998/1999) prevede che l’indennità di Struttura sia da attribuire “oltre alla retribuzione di posizione”. - Si può infine esaminare il quinto motivo di ricorso;
Con esso si adduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al t.u. n. 502 del 1992, art. 3, comma 1-bis ed art. 15-ter nonchè in relazione al D.Lgs. n. 229 del 1999 , alla L.R. Calabria n. 11 del 2004 , art. 7 , all’art. 27, comma 7, CCNL 1998/2001 in ordine alla istituzione di struttura semplice e al conferimento del relativo incarico di dirigente”.
Sul punto, la Corte territoriale ha sviluppato una motivazione articolata.
Premesso che il contendere ruota attorno a due delibere del Direttore Generale, una del 1999 (D.D.G. 526) e l’altra del 2000 (D.D.G. 679), la prima di esse (D.D.G. 526) – si legge nella sentenza – indicava di avere assegnato la A.A. ad un “settore complesso…. con direzione di struttura”.
La seconda Delib. (D.D.G. n. 679) aveva invece istituito l’unità organizzativa transmurale di microbiologia, articolandola in due strutture semplici, di cui una affidata alla A.A..
Secondo la Corte territoriale, rispetto all’attribuzione dell’incarico di Struttura di cui alla D.D.G. n. 526, mancherebbe intanto la prova dello svolgimento della selezione, quest’ultima essendo già richiesta in allora dal D.P.R. n. 384 del 1990 .
Rispetto all’attribuzione di cui alla D.D.G. n. 679, la Corte di merito evidenzia invece come all’epoca fosse già in vigore del D.Lgs. n. 502 del 1992 , art. 3 , il comma 1-bis introdotto dal D.Lgs. n. 229 del 1999 , che subordinava l’istituzione delle strutture ed il conferimento degli incarichi alla previa formazione dell’atto aziendale di organizzazione dell’ente, della cui esistenza era mancata la prova.
Rispetto ad entrambe le D.D.G. la Corte territoriale, affrontando il tema sotto il profilo dell’eventuale rilievo da attribuire all’esercizio di fatto delle funzioni, ha ritenuto comunque non provato che i moduli di cui ai D.D.G. 1999 e 2000 avessero le caratteristiche della Struttura Semplice, avendo i testimoni riferito solo relativamente all’attività svolta successivamente dalla A.A. presso la Struttura Complessa, così come a tale successivo periodo si riferiva la documentazione prodotta.
Il collegio ritiene che quanto alla base di quest’ultima ratio decidendi resista alle critiche mosse con il motivo di ricorso;
La Corte territoriale prende infatti atto che le D.D.G. facevano riferimento a moduli in essere indicati quali strutture semplici, ma, per quanto qui interessa, in sostanza nega che l’esprimersi in tal senso delle D.D.G. fosse sufficiente a identificare come tali quelle articolazioni, per carenza di prova dei necessari elementi individuativi.
Da questo punto di vista, il motivo di ricorso prende posizione rispetto alla D.D.G. 679, affermando che con essa il Direttore Generale aveva costituito le due strutture semplici, di cui una attribuita alla A.A., come all’epoca poteva fare, visto che la Regione Calabria aveva dato attuazione al D.Lgs. n. 502 del 1992 , art. 3 , comma 1-bis, quale introdotto dal D.Lgs. n. 229 del 1999 , solo con L.R. n. 11 del 2004 .
Il motivo, così come la memoria che fa un mero rinvio ad esso, invece non replica, se non in modo del tutto insufficiente, alla ratio decidendi della Corte d’Appello, secondo cui, pur rivendicandosi le retribuzioni del preposto ad una Struttura Semplice, mancavano gli elementi fattuali idonei a suffragare una tale natura della Struttura stessa, a ciò non bastando (v. analogamente, rispetto ad una Struttura Complessa, Euro 2584/2009) le mere affermazioni in tal senso della D.D.G., nè il solo fatto in sè che la ricorrente operasse in un’articolazione della Struttura Complessa.
E’ infatti indubbio che, anche all’epoca (v. ad es. L.R. Calabria 2/1996 , in relazione al D.Lgs. n. 502 del 1992 , art. 3 , comma 5), l’individuazione di un’articolazione come Struttura imponesse elementi di autonomia, ad es. quanto a obiettivi, budget e relative responsabilità.
L’argomentazione della Corte d’Appello in ordine alla mancanza di prova dell’effettivo trattarsi di una Struttura Semplice risulta assorbente di ogni altro ragionamento e quindi il motivo va disatteso. - In definitiva, resta accolto soltanto il sesto motivo di ricorso, limitatamente a quanto indicato al punto 6.2 e ciò comporta la cassazione, su tale aspetto, della sentenza impugnata, con rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, per la definizione di tale profilo.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il sesto motivo, rigettando nel resto il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo per come accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.