L’obbligo di firma (in altra causa) integra il legittimo impedimento a comparire all’udienza e non sussiste alcun onere di comunicazione (Avv. Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 21859/2024 ha stabilito che la sottoposizione dell’imputato a qualsivoglia restrizione della libertà personale, per altra causa integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in assenza, anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice della sopravvenuta condizione di restrizione in tempo utile per la traduzione o per conseguire eventuali autorizzazioni in grado di consentirgli di derogare alle prescrizioni cui è assoggettato, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento.

Fattispecie relativa ad imputato sottoposto alla misura dell’obbligo di firma in un comune diverso da quello in cui ha sede il Tribunale procedente.

L’interpretazione a cui fanno riferimento tanto la sentenza di primo grado, quanto la pronuncia impugnata – secondo le quali non sussisterebbe il legittimo impedimento a comparire all’udienza dell’imputato sottoposto alla misura dell’obbligo di firma in comune diverso da quello in cui ha sede il tribunale procedente, quando lo stesso non abbia chiesto l’autorizzazione al giudice per partecipare all’udienza – deve ritenersi incompatibile con i principi affermati da Sez. U., n. 37483 del 26/09/2006, Arena, Rv. 234600 e da Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, dep. 2022, Costantino, Rv. 282806, la quale, pur riguardando una ipotesi diversa – la restrizione domiciliare per altra causa portata a conoscenza del decidente dall’imputato senza chiedere al giudice della misura l’autorizzazione ex art 22 disp. att. cod. proc. pen. -, in motivazione ha fornito delle indicazioni di principio destinate ad estendersi in termini inequivoci anche alla fattispecie in oggetto.

Nel dettaglio, le Sezioni unite Arena hanno affermato il principio di diritto in forza del quale la detenzione dell’imputato per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia, anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento.

In particolare, la sentenza Arena ha osservato che «nell’ottica di un processo a carattere accusatorio, la partecipazione dell’imputato al processo in cui è coinvolto è condizione indefettibile per il regolare esercizio della giurisdizione; essa afferisce al fondamentale diritto di difesa (autodifesa) e non è perciò confiscabile».

Più di recente, le già citate Sezioni unite Costantino, in conformità alla precedente giurisprudenza ora esaminata, hanno affermato che nel giudizio ordinario deve essere sempre assicurata, in mancanza di inequivoco rifiuto alla partecipazione, la presenza dell’imputato.

Di conseguenza in virtù della norma generale fissata dall’art. 420-ter c.p.p., commi 1 e 2, qualora l’imputato non si presenti ed in qualunque modo risulti (o appaia probabile) che l’assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, spetta al giudice disporre, anche di ufficio, il rinvio ad una nuova udienza, senza che sia necessaria una qualche richiesta in tal senso.

Pertanto, qualora l’imputato sia detenuto o agli arresti domiciliari o comunque sottoposto a limitazione della libertà personale che non gli consente la presenza in udienza, poiché in tali casi sussiste in re ipsa un legittimo impedimento, il giudice, in qualunque modo ed in qualunque tempo venga a conoscenza dello stato di restrizione della libertà, anche in assenza di una richiesta dell’imputato, deve d’ufficio rinviare il processo ad una nuova udienza e disporre la traduzione dell’imputato, salvo che non vi sia stato un espresso rifiuto dell’imputato ad assistere all’udienza.

La sentenza Costantino ha altresì rimarcato che con il precedente arresto delle Sezioni unite era stato messo in evidenza che «la detenzione per altra causa costituisce legittimo impedimento anche quando l’imputato avrebbe potuto avvisare il giudice della sua condizione in tempo utile per consentire la traduzione» e dovendo ritenersi escluso che «l’imputato abbia un onere di chiedere al giudice competente la rimozione dell’impedimento o di comunicare al giudice che procede la sua volontà di essere presente, avendo rilievo soltanto il fatto che il giudice abbia comunque conoscenza di una obiettiva situazione di impedimento».

Ne consegue che «l’assenza può costituire, quindi, chiara espressione della abdicazione del diritto a partecipare solo ove non risulti in alcun modo la presenza di un impedimento e possa essere ricondotta univocamente ad una libera rinuncia dell’imputato ad esercitare il suo diritto.

Tale condizione non sussiste in tutte le ipotesi nelle quali il giudice che procede ha conoscenza dell’esistenza di un impedimento dell’imputato a partecipare al processo a causa della limitazione della libertà personale e non sia stata manifestata da parte dell’interessato, in maniera inequivoca, la volontà di rinunciare a presenziare. In tal caso incombe al giudice procedente l’obbligo di esercitare, di ufficio e senza ulteriori sollecitazioni da parte dell’imputato, tutti i poteri che l’ordinamento gli conferisce al fine di assicurare la partecipazione dell’imputato non rinunciante». Ed in tal senso il Supremo Collegio ha altresì precisato che «la difforme interpretazione si fonda sul disconoscimento della natura assoluta dell’impedimento, in quanto superabile da una manifestazione di interesse da parte dell’imputato, ma omette di considerare che tale attività, sicuramente possibile, non è però imposta dalla legge, che non pone a carico dell’imputato, citato in condizioni di libertà, e ristretto per altra causa, di attivarsi presso il giudice della cautela, o il magistrato di sorveglianza competente sulla restrizione in atto».

Il dato normativo di riferimento, alla luce dei principi costituzionali e convenzionali cui si ispira, impone dunque di escludere la legittimità di una interpretazione che appare fondata sulla configurazione della partecipazione dell’imputato come un interesse perseguibile su sua iniziativa, e non un diritto, e su esigenze di funzionalità e celerità del processo, più che sul rispetto della sua ritualità, secondo le precise scansioni dettate dalle disposizioni sul punto.

Del resto, proprio la richiamata centralità della partecipazione dell’interessato al processo ha imposto la previsione di verifiche costanti della corretta instaurazione del giudizio in assenza, cosicché ogni controllo, il cui esito non rispetti i principi rigorosi fissati per la legittimità del giudizio in assenza, rischia di condurre allo svolgimento di attività processuale suscettibile di essere travolta da un successivo accertamento di nullità del procedimento.

Alla luce delle affermazioni di principio offerte dalle Sezioni unite e qui condivise, deve dunque ritenersi che qualsivoglia restrizione dell’imputato per altra causa integri un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e precluda la celebrazione del giudizio in assenza, anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione o conseguire eventuali autorizzazioni in grado di consentirgli di derogare alle prescrizioni cui è assoggettato, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento. (Sez. 5, n. 37658 del 20/11/2020, Ferri, Rv. 280139).

Nel caso esaminato, il difensore fin dalla prima udienza ha portato a conoscenza del giudice la persistente condizione di restrizione per altra causa, cui era sottoposto il suo assistito.

Ciò risulta dall’istanza di rinvio presentata al giudice, con la quale l’imputato aveva indicato l’autorità giudiziaria autrice del provvedimento cautelare e il numero del procedimento nel quale era stata adottata la misura.

Ne consegue che il giudice di merito, una volta acquisita tale notizia e a seguito della positiva verifica sull’effettiva volontà dell’interessato di partecipare al giudizio di merito, anche in mancanza di preventiva comunicazione o richiesta o da parte dell’interessato, era tenuto a differire l’udienza e ad adottare il provvedimento autorizzatorio necessario ad assicurare la partecipazione dell’imputato non rinunciante (nello stesso senso Sez. 6, n. 26622 del 19/05/2022, Rv. 283880 e Sez. 6, n. 35190 del 30/03/2022, Rv. 283730, con riferimento all’ipotesi dell’imputato sottoposto alla misura dell’obbligo di dimora in un comune diverso da quello in cui ha sede il giudice dinanzi al quale viene celebrato il processo).

Conseguenza della mancata traduzione dell’imputato è l’avvenuta celebrazione del giudizio al di fuori delle condizioni legittimanti.

Tale irrituale instaurazione del contraddittorio, già evidenziata in fatto dal difensore con la richiesta di rinvio formulata nel primo giudizio, ha costituito specifico motivo di appello, giudizio che, sulla base di quanto ricostruito, avrebbe dovuto condurre ad accertare l’illegittimità della decisione di primo grado, in forza di quanto espressamente previsto dall’art. 604, comma 5-bis, cod. proc. pen., per tutte le ipotesi in cui non siano state rispettate le disposizioni di cui agli art. 420-ter e 420-quater cod. proc. pen. nel primo giudizio.

Ne consegue che la sentenza impugnata e quella di primo grado devono essere annullate senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Trieste per il giudizio.

fonte: https://terzultimafermata.blog/2024/07/22/lobbligo-di-firma-in-altra-causa-integra-il-legittimo-impedimento-a-comparire-alludienza-e-non-sussiste-alcun-onere-di-comunicazione-riccardo-radi/