La responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se, ove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, e il risultato derivatone.
Tribunale di Roma, sentenza 26 gennaio 2023, n. 1279
Il fatto
Nella decisione qui in esame il Tribunale di Roma tratteggia le coordinate che presiedono all’affermazione della responsabilità professionale dell’avvocato precisando come, pur in presenza di un errore di detto professionista (nella specie, per aver lasciato spirare inutilmente un termine perentorio fissato dal Giudice), non può pervenirsi perciò solo ad una condanna al risarcimento danni in difetto della allegazione e della prova, da parte del cliente, del c.d. giudizio controfattuale.
La decisione del Tribunale di Roma
Se le prime pronunce giurisprudenziali che si hanno in tema di responsabilità forense negavano ogni possibile individuazione di un danno risarcibile anche in presenza di una evidente negligenza professionale (Cass. civ. 10 febbraio 1931, n. 495), nel corso tempo, tale orientamento si è gradatamente modificato rilevandosi l’erroneità del principio di diritto che lo sorreggeva e che finiva per essere un mero assioma secondo cui poiché non era possibile determinare quale sarebbe stato l’esito finale di una causa in assenza dell’errore del professionista quest’ultimo mai poteva essere considerato responsabile.
L’opinione oggi consolidata – condivisa anche dal Tribunale capitolino nella sentenza qui in esame – è quella secondo cui l’obbligazione assunta dal professionista nei confronti del proprio cliente è di mezzi o di comportamento, e non già di risultato, con la conseguenza che l’inadempimento del professionista consiste nella violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale e, in particolare, del dovere di diligenza media prescritto dall’art. 1176, comma 2, c.c. (Trib. Bologna, sez. III, 1 febbraio 2022, n. 234; Cass. civ., sez. III, ord., 28 maggio 2021, n. 15032; Cass. civ., sez. II, ord., 12 marzo 2021, n. 7064).
Nell’ambito della disciplina delle “professioni intellettuali” (prevista dagli artt. 2229-2238 c.c.) – tali da intendersi tutte le professioni per le quali l’accesso è subordinato all’iscrizione in appositi albi o elenchi – è previsto, poi, uno specifico regime di responsabilità (ex art. 2236 c.c.), in base al quale “se la prestazione implica soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.
La giurisprudenza ha limitato il campo di applicazione di detta ultima norma ai soli casi d’imperizia, con la conseguenza che risponde anche per colpa lieve il professionista che, nell’esecuzione della propria prestazione, provochi un danno per imprudenza o negligenza (Cass. civ. sez. III, 19 aprile 2006, n. 9085).
Quanto fin qui detto è da ritenersi valido anche per il fatto degli ausiliari (collaboratori, praticanti etc.) del cui operato il professionista che se ne avvalga “sotto la propria direzione e responsabilità” (art. 2232 c.c.) è responsabile; detti ausiliari non sono dunque parte del rapporto con la clientela, restando la loro attività giuridicamente assorbita da quella del prestatore d’opera che ha concluso il contratto con il cliente (Cass. civ. sez. II, ord., 9 settembre 2021, n. 24374).
In particolare, per quanto più da vicino attiene alla responsabilità professionale dell’avvocato, deve rilevarsi che l’esito del giudizio, anche eventualmente sfavorevole, non spiega alcun effetto, in quanto l’inadempimento del suddetto professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell’attività esercitata (App. Milano sez. II, 15 febbraio 2022).
Invero «giudicare responsabile il patrocinante sulla base dell’esito vittorioso o no della lite equivarrebbe a trasformare l’obbligazione di mezzi in un’obbligazione di risultato» (Trib. Lecce 11 gennaio 2022, n. 42).
L’avvocato deve dunque considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli artt. 2236 e 1176 c.c., in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge e, in genere, nei casi in cui, per negligenza o imperizia, comprometta il buon esito del giudizio, mentre nelle ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità, a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave.
Con la precisazione che, ove si sia in presenza di un contrasto giurisprudenziale, è dovere professionale del difensore quello di agire, cautelativamente, in base all’interpretazione della norma, anche a prescindere della sua condivisione da parte del medesimo, che comporti minori rischi per il cliente (App. Catanzaro, sez. III, 13 settembre 2022, n. 982).
Pertanto, per dirsi sussistente una ipotesi di inadempimento del suddetto professionista è doverosa l’indagine – positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l’onere di fornire – circa il sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo (Cass. civ., sez. III, 1 dicembre 2009, n. 25271).
L’avvocato, in particolare, deve improntare la sua condotta a buona fede oggettiva (o correttezza) che è regola (artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c.) di condotta (quale dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost.) – secondo cui il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità – e altresì di interpretazione del contratto (art. 1366 c.c.) e di criterio di determinazione della prestazione contrattuale (costituendo fonte di integrazione del comportamento dovuto) (Cass. civ. sez. III, 6 maggio 2020, n. 8494).
Ciò premesso, rientra, senz’altro, nell’ordinaria diligenza dell’avvocato, al quale sia stata notificata la sentenza di primo grado, informare prontamente il cliente dell’eventuale esito sfavorevole del giudizio, della possibilità, e del probabile esito, di una impugnazione, sollecitandolo a fornire indicazioni circa la propria intenzione d’impugnare la sentenza, in modo da non lasciare decorrere inutilmente il relativo termine decadenziale.
Come puntualmente osservato dalla Suprema Corte di Cassazione «l’omessa comunicazione al cliente dell’avvenuta notificazione della sentenza di condanna, fino a far decorrere il termine per impugnare, costituisce grave negligenza e fonte di responsabilità professionale» (Cass. civ. sez. III, 12 aprile 2011, n. 8312).
Senza sottacere infine che, qualora il legale incorra in condotte palesemente negligenti dovute a ricorsi per cassazione o appelli interposti oltre i termini, all’omessa proposizione di istanze, alla mancata produzione documentale, ovvero all’omessa informazione nei confronti del cliente, l’affermazione della responsabilità implica – sempre e comunque (così come sottolinea la sentenza in esame) – la valutazione positiva che al diligente compimento di determinate attività, sarebbero conseguiti effetti più vantaggiosi per l’assistito, non potendo viceversa presumersi dalla negligenza del professionista che tale sua condotta abbia in ogni caso arrecato un danno, come pure in caso di omesso svolgimento di un’attività professionale (Trib. Roma sez. XIII, 11 gennaio 2023, n. 473; Trib. Milano sez. I, 28 dicembre 2022, n. 10261; Trib. Pisa 24 dicembre 2022, n. 1610: Cass. civ. sez. III, ord., 25 novembre 2022, n. 34787).
E cioè a dire, anche quando la negligenza del difensore consista nella omissione di incombenti processuali elementari, che non presuppongono la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, incombe a carico del cliente l’onere di provare la difettosa prestazione professionale, il danno e il rapporto di causalità (Cass. 18 aprile 2007, n. 9238).
Fonte: https://www.altalex.com/documents/2023/04/14/errore-commesso-avvocato-sussiste-obbligo-risarcire-danni